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IL GIORNO CHE AVREI VOLUTO VIVERE

25 dicembre 800 / Quella voce in falsetto di Carlo Magno

di Alessandro Barbero

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18 Agosto 2009

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Mi sarebbe piaciuto vedere anche Papa Leone III, cercar d'intuire dalla sua fisionomia le colpe e i vizi a cui fanno oscure allusioni tante fonti dell'epoca, compresa un'imbarazzante lettera di Carlo Magno; e magari anche indovinare se è davvero greco, o forse siriano, come qualcuno ritiene, giacché sono proprio tante le cose che noi storici non sappiamo. Ma il Papa è entrato dal transetto e l'altare è troppo lontano dalla mia postazione; senza contare che naturalmente celebra la messa voltando le spalle ai fedeli. Di liturgia non sono un esperto, perciò non saprei descrivere la cerimonia; mi ricorda le funzioni a cui ho assistito nelle chiese russe, coll'aria che rimbomba del salmodiare dei chierici e delle risposte della folla, l'irrompere improvviso d'un canto così argentino che sembra provenire dal cielo, il luccichio di innumerevoli candele nella penombra, il disordine della folla commossa dove ogni fedele sembra libero di stare in piedi o inginocchiarsi a suo piacimento.

Quello che m'importa davvero, però, è non perdere di vista Carlo, nemmeno per un istante. Perché non so in che momento della cerimonia avverrà la cosa più importante, che più di tutte spiega la mia voglia di assistere a questo giorno. Un primo, possibile dubbio è già risolto: a Roma, l'ho detto, tutti sanno che oggi Carlo sarà acclamato imperatore. Ma questo l'ho sempre pensato anch'io: troppi segnali indicano che già da qualche anno, nel palazzo del Laterano come in quello di Aquisgrana, si ragionava dell'opportunità di conferire a Carlo, padrone di quasi tutta l'Europa latina, e protettore della chiesa di Roma, una dignità superiore al suo titolo barbaro di rex, capace di metterlo sullo stesso piano degli orgogliosi imperatori bizantini.

Ma allora, perché Eginardo racconta che Carlo non fu per niente contento di quello che accadde in San Pietro, tanto da esclamare che se l'avesse saputo prima non ci sarebbe neanche entrato, e pazienza se era Natale? Questo è l'interrogativo che nessuno studioso ha ancora saputo sbrogliare. Un'ipotesi, naturalmente, ce l'ho, ma l'unico modo per confermarla è di vedere con i miei occhi.

Ed ecco, i chierici assiepati attorno al Papa cominciano a rumoreggiare in un tono inatteso, che con la liturgia della messa non ha proprio niente a che fare. È un'acclamazione molto più antica quella che ora risuona nella basilica: Vivat, vivat Augustus! Vita et victoria! Il popolo accalcato nelle cinque navate fa eco con entusiasmo. È questo il vero rituale con cui si fa un imperatore romano, e se qui si rispettassero le usanze antiche, non ci sarebbe bisogno d'altro. Ma le abitudini, ormai, sono cambiate, e la gente aspetta ancora qualcosa. Carlo, sempre in ginocchio, si agita; probabilmente è già stufo di stare lì, le ginocchia gli fanno male, e del resto ha quasi sessant'anni, il che vuol dire che per quest'epoca è un vecchio.

Il Papa, da quel che vedo, si avvicina; ha qualcosa fra le mani che brilla, forse un diadema di perle da allacciare alla nuca come usa il basileus a Costantinopoli, forse una corona d'oro a forma di foglie d'alloro. Prima che Carlo Magno possa rialzarsi per rispondere alle acclamazioni e prendere in mano la corona, il Papa è davanti a lui, e gliela impone sulla testa. Dalla folla si leva un boato; e le esclamazioni che lo punteggiano, ora, non sono più Vivat Augustus, o Vivat Karolus, ma piuttosto, nel latino smozzicato che parla la gente, Viva illa cchiesia romana!

È finita: Carlo è in piedi, si segna, si volge all'uscita. Non è così allegro come dovrebbe essere; anzi, parla fitto con i figli che gli stanno accanto, e ha la faccia scura. Alla fine, è proprio come pensavo. Non l'ha colto di sorpresa il fatto di diventare Augusto, ma il gesto del Papa, che in piedi, davanti a lui inginocchiato, gli ha messo in testa la corona, dimostrando agli occhi del mondo che è la chiesa romana a creare gli imperatori. Carlo, diversamente da me, non sa che innumerevoli monarchi cristiani, nei secoli a venire, si troveranno negli imbrogli a causa di questo gesto; ma è un animale politico, ne ha viste tante in vita sua, e sa benissimo che stamattina quel furfante di Papa Leone gli ha giocato uno sporco tiro.

* Alessandro Barbero insegna Storia Medioevale all'Università del Piemonte Orientale Avogadro (Vercelli)

IL SACRO ROMANO IMPERO
Il Sacro Romano Impero
Con l'incoronazione di Carlo Magno (nell'illustrazione, il sovrano con altri re cristiani) ha inizio il Sacro Romano Impero. Ponendo sul capo di Carlo (742-814) la corona d'oro, il 25 dicembre dell'800, papa Leone III pronuncia la frase che sancisce la nascita ufficiale dell'impero: «A Carlo, piissimo, augusto, incoronato da Dio, grande e pacifico imperatore, vita e vittoria». L'impero comprendeva gli attuali territori di Francia, Belgio, Olanda, Germania, Spagna e Italia settentrionale, Toscana, Dalmazia e una zona della regione danubiana (buona parte costituiva l'Impero Romano d'Occidente). Carlo Magno divise il territorio in 200 province: quelle ai confini, le marche, furono affidate ai marchesi; quelle all'interno, le contee, ai conti; i baroni assistevano l'imperatore nell'amministrazione.

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18 Agosto 2009
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